Progressisti e ultracristiani, globalisti uniti nell’odio a Roma
C’è una signora secondo cui il ratto delle Sabine fu “uno stupro etnico”. E lo scrive, non sul San Francisco Chronicles che qualche giorno fa ha denunciato il bacio non consensuale del principe azzurro a Biancaneve, ma su La Verità.
Non contenta, nostra signora degli anelli (in brodo), afferma che tutto ciò che è venuto prima di Gesù (dovrebbe dire San Paolo… ) è violenza, orrore, sopraffazione, barbarie. Bolla Achille e Agamannenone come due maschi alfa, espressione che intende secondo la lettera del lessico progressista, Iliade e Odissea – in buona sostanza – ciarpame prodotto da un’umanità che non aveva conosciuto la dolcezza della Redenzione e del messaggio di Cristo.
I cavalieri, dunque, quelli sì che erano buoni e santi. Ora, seguendo la visione della signora, probabilmente tra loro andrebbe fatta qualche distinzione e magari espunto dall’elenco il grande Lancillotto del Lago che violò la sacralità del matrimonio di Artù insidiandone la moglie e regina Ginevra o Parsifal che, fallita la prova del Graal, si diede a una vita di bagordi. E cosa dire dell’acidissimo e raccomandatissimo Keu?
Di sicuro andrebbero cancellati d’imperio tutti quei cavalieri (veri) che attorno al buono e saggio e cristianissimo Carlo Magno (re trasceso a mito della cavalleria insieme ad Artù) fecero a pezzi intere tribù di ribelli Sassoni, rei di non volere tradire la religione antica dei padri (sulla quale s’è costruito quasi l’intero immaginario cavalleresco… ) e che scelsero il martirio per decapitazione pur di non abbracciare “il dolce e civilizzatore messaggio di redenzione” degli eserciti cristiani e franchi.
Chi elimina ha torto. Eliminare Achille perché era alto e biondo, quindi suprematista, oppure volerlo cancellare perché non fu cristiano, non sono, in effetti, la stessa identica cosa? E, in cambio dell’Iliade, cosa ci consegnano i globalisti, che siano tinti d’arcobaleno o pieni dello spirito di Gesù? Nulla, niente. Cambiano i temi, anzi le “narrazioni” ma entrambi, che hanno la stessa impostazione dogmatica ma non ideologica, hanno lo stesso obiettivo: quella che Nietzsche, giustamente, ebbe a definire la “rivolta degli schiavi”. Tutto ciò che può essere bello, alto, degno di essere vissuto lo fraintendono, non sono in grado di capirlo: perciò lo odiano e vogliono abbatterlo. Per loro, che indossino il saio dei penitenti neri o dei carmelitani arcobaleno, valgono le parole di Rutilio Namaziano: “Quaenam perversi rabies tam stulta cerebri/ dum mala formides, nec bona posse pati?”
Quella della signora, in fondo, non è che un’altra voce del protestantesimo evangelico globale che ha monopolizzato, a destra, il dibattito politico e spirituale. Altro che cattolicesimo, altro che tradizione. È l’idea dell’iconoclastia ad agire chi, per dare una spallata politica a Grillo “usando” le accuse di stupro rivolte al figlio, sente il dovere di tirare in ballo il Ratto delle Sabine. Il problema non è nelle goffe argomentazioni, nelle sciocchezze contrabbandate per “politicamente scorretto”. È nell’odio contro Roma, ancora più inquietante poiché talmente assorbito fin nel midollo, stabilizzato nell’inconscio nonostante sventoli a ogni pie’ sospinto le bandierine coi tre colori, che tradisce l’impostazione culturale di chi, pur propugnando tesi (apparentemente) diverse, in realtà dimostra di combattere la stessa identica battaglia di quelle forze a cui, in teoria, dice di volersi opporre. Fa orrore anche solo ipotizzare un parallelismo tra il ratto delle Sabine e le marocchinate. Sotto qualunque profilo, sfaccettatura, posizione la si guardi.
Eppure c’è chi lo fa, come la signora, tra gli applausi di chi nemmeno si rende conto di quale guerra e per conto di chi sta “combattendo”.