Covid19: Ora che ci hanno consegnato al nemico, ci parleranno di liberazione
Adesso possiamo dircelo… l’Italia non è più un modello. Il mondo non guarda a noi per decidere come difendersi dal Covid 19 e, in fin dei conti, non l’ha mai fatto. Ora diventa così evidente, che nemmeno i giornali italiani possono far finta di niente: non basta più attaccare la Svezia per dire che prima o poi chiuderanno anche lì… non basta ricordare che i paesi protestanti non hanno attaccamento per la vita, mentre noi pensiamo ai nostri anziani… la realtà è che in Germania si aprono i negozi e si passeggia, non si è mai smesso. I runner inglesi corrono all’aria aperta, in Svizzera si prende il sole, in Francia tra poco si ritornerà a scuola, in Danimarca già è successo, pure in Norvegia. Persino in Spagna da una settimana si è proceduto a riaprire le attività non essenziali. Sono folli loro o noi?
Noi che abbiamo chiuso per primi, saremo quelli che riapriranno per ultimi, con prospettive di controllo sociale, vaccinazioni di massa e di reclusione generazionale. Il perché è presto detto. Sono i medici – alcuni medici – che dettano il da farsi. Come su questi lidi dicemmo dall’inizio. E questi medici, i tecnici, sono costretti dal loro stesso ruolo, forgiato in un mese e mezzo di apparizioni pubbliche e di patenti di eroicità, a portare avanti la narrazione del nemico oscuro con le antennine che invade il paese, quando ormai è chiaro che il paese è assediato da ben altro. Non ci interessa, in questo momento, entrare nel merito della questione e del perché siano state consegnate le sorti dell’Italia a un manipolo di professoroni che sin dall’inizio, a ben vedere, ci hanno capito poco o niente. Che si sono contraddetti più volte. Che hanno continuato, ogni giorno, a dare numeri a lotto e che questi numeri hanno interpretato, ogni giorno, sempre per alimentare la paura. Che hanno seguito, supinamente, le istruzioni contraddittorie dell’Oms, organismo misterioso finanziato da Stati e benefattori privati. Che hanno sistematicamente attaccato – e continuano a farlo, con malcelata isteria – tutti coloro, medici e scienziati come loro, hanno provato a dare una lettura diversa che permettesse un minimo di resistenza. Non solo al virus. Ma a tutto quello che sta arrivando. A tutto quello che ci aspetta.
È più interessante comprendere come siamo arrivati a questo. Perché quello è il punto focale dello stato di un paese e delle sue speranze di rialzarsi, resistere, combattere. Innanzitutto, grazie a una stampa compiacente, ai limiti del servilismo, meschina in molti aspetti, superficiale in tanti altri. Grazie ai media è stato possibile creare quel clima di terrore da “salviamoci la pelle”, tanto poi “il resto si vedrà”. Al grido della “salute prima di tutto” si è sistematicamente colpevolizzata ogni voce dissonante rispetto alla vulgata dominante. Senza mai offrire un’analisi reale del perché eravamo così impreparati. In un appiattimento della narrazione che ha portato la Barbara D’Urso di turno a fianco del grande giornalista o dell’intellettuale asservito. Stessa statura, tutti uguali nella reiterazione del messaggio ossessivo del “resto a casa”, per la prima volta hanno dato la possibilità di immaginarsi, a chi ancora conservasse una scintilla interiore, l’esistenza di un Grande Fratello, quello serio. E poco conta che alcuni di loro oggi si svegliano, come da un cattivo sonno dopo un’ubriacatura. Questo non li assolverà.
A tutto questo il popolo non ha opposto resistenza, dimostrandosi massa manipolabile. I ceti più deboli hanno atteso, terrorizzati, che arrivassero gli aiuti promessi, e attendono ancora, nella convinzione, forgiata prima sui telefilm americani degli anni del benessere e oggi sulle narrazioni politicamente corrette di Netflix, che nel nuovo millennio, in Europa, non si possa morir di fame e che i rapporti umani, alla fine, possano essere mediati dai social. Sono stati rassicurati, sul punto, dalla cosiddetta “società civile”, che ha alimentato la narrazione dominante fidandosi, apparentemente, degli stregoni moderni “esperti” di virus. Ma, di fatto, svelando tutta la propria natura borghese, ignara di quali forme possa assumere una guerra nella modernità, incapace di produrre una contronarrazione degna di un paese che abbia non solo un presente, ma anche l’idea di un futuro. In questa passività disarmante è stato possibile sospendere i diritti individuali, sociali ed economici con atti amministrativi, senza che nessun professore universitario si scandalizzasse davvero, è stato possibile zittire la giustizia senza che la nostra magistratura – così pronta a intervenire, in altri momenti della storia repubblicana – dicesse una parola. È stato possibile sospendere i riti e i sacramenti, nel paese di Roma. È stato possibile aizzare gli individui gli uni contro gli altri, creare capri espiatori, rigorosamente bipedi, tra coloro che passeggiavano e correvano, tra coloro che non si mascheravano. Come in un carnevale permanente, con i balli fatti sui balconi di casa, in alto, per chi ha la fortuna di averlo il balcone, si è preteso che l’ordine intervenisse a desolare le strade, contraddicendo così lo stesso concetto di ordine. Poliziotti, municipali e non, carabinieri e finanzieri si sono prestati, chissà se con un po’ di vergogna, a rovistare nei sacchetti della spesa degli anziani e a raccogliere delazioni dai vicini invidiosi.
E poi la nostra classe politica, senza dubbio la peggiore della storia italiana nel momento peggiore. E credere che sia un caso è davvero troppo, piuttosto appare una conseguenza. Una classe che non decide, non si assume responsabilità, che ha necessità di demandare qualunque scelta ai tecnici di turno: ci diranno i tecnici come riaprire, aspettiamo i tecnici per sapere quando, abbiamo il comitato tecnico scientifico e la task force. Una classe politica – e ci mettiamo tutti, governanti e oppositori, destra e sinistra – che è immemore della lezione dei grandi pensatori novecenteschi per cui la tecnica non è neutra, ma corrisponde sempre a degli interessi, e che non è scontato che questi interessi coincidano coi nostri. Perché lo siano, c’è bisogno della vera politica. Non della nostra piccola e servile, che con i tecnici si allea quando la realtà è più forte delle lezioni sparate nei salotti tv da virologi, nane e ballerine, per incolpare – insieme alla maggioranza del paese che pende dalle loro labbra – quei pochi che escono a passeggio, magari per fare la spesa due volte alla settimana, se il lockdown, questa espressione inglese che significa semplicemente contenimento, non funziona, se la curva si appiattisce dopo giorni rispetto a quello che ci avevano detto. Mentre in Germania si passeggia, in Inghilterra si corre, in Svezia non si è chiuso, negli altri paesi si riaprono le scuole. Mentre altrove si interviene, massicciamente, a sostegno dei più deboli qui si mascherano, in provvedimenti astrusi e mal scritti, garanzie per nuovi debiti in aiuti statali. Nell’attesa che qualcuno decida per noi, anche su questo aspetto.
Adesso che il nemico, quello vero, è alle porte, già si delinea la nuova narrazione. Nessuno avrà la responsabilità di quello che sta per accadere, ci diranno, perché non si poteva fare altro. Così abbiamo evitato il peggio, ci ripeteranno con una sicurezza disarmante, senza che i loro stessi grafici ne sostengano le affermazioni. E soprattutto… l’ha fatto tutto il mondo, affermeranno quasi compatendoci, quando è evidente che nessuno lo ha fatto come noi e che nessuno ne pagherà le conseguenze come noi. E ci parleranno del nemico e di una nuova liberazione, di un nuovo 25 aprile. Chi ci salverà stavolta? Non questa classe politica, non la società civile… magari saranno gli eroi dell’OMS, di cui abbiamo seguito alla lettera i protocolli, a darci quel tempo necessario affinché qualche casa farmaceutica trovi un vaccino e fa nulla se il vaccino in realtà non serve… non è importante, per il nostro paese, la realtà delle cose. A questo popolo serve una nuova liberazione, serve alla sua immaginazione e alla sua cattiva coscienza. Come quella del ‘45. Solo così potremo continuare a festeggiare, come facciamo da settantacinque anni, la nostra sconfitta.