L’essenza di internet

L’essenza di internet

Perdonate se non siamo entusiasti. Perdonate se non ci mettiamo nelle strade della Rete a strombazzare la sua grandezza. Perdonate se il nostro discorso vi apparirà reazionario, ma, in fondo in fondo, quando il martello colpisce il nervo, la sua reazione la leggiamo sempre come dimostrazione di vita.

Quanto agli apologeti della Rete, agli “evangelist” del 2.0, ai guru della virtualità, agli e-mullah che dai minareti di Silicon Valley lallano le parole di questo o di quel messia dubitiamo che in loro ci sia sufficiente vita che non sia l’inerzia prevedibile dell’interesse, del conformismo e della pigrizia panciuta e arrogante.

Così, per reagire ad esaltazione tanto più pericolosa quanto autoincensante e per conoscere lo strumento che adoperiamo, miriamo con questo post a capire l’essenza di Internet, comprenderne la rotta che attraversa e, magari, intuire sentieri verso il timone. A patto che il popolo di Internet accetti timoni e non sia preso perennemente dalla sua psicosi egotica.

Converrà chiarire che l’analisi che segue vorrebbe andare oltre la sociologia e puntare dunque a qualcosa che riesca a superare il riferimento ad un determinato tempo e ad una determinata cultura. In particolare l’essenza di un qualsiasi oggetto è ciò che esso – cerchiamo di non scomodare filosofi e lessici incomprensibili – proverà sempre a realizzare indipendentemente dalle condizioni esterne. E’ un filtro applicato al mondo circostante: alcune qualità esterne transitano nell’oggetto e si potenziano, altre restano fuori e tacciono.

Ora, partiamo da alcune qualità del medium in questione, che pur non costituendo la sua essenza, ci possono condurre ad essa.

Economicità

Aprire un blog con dominio personale costa pochissimo, iscriversi a Facebook nulla. La principale novità apportata dalla Rete, ancora prima della natura sociale del mezzo, è l’aspetto economico. Se in passato pubblicare un giornale, una rivista o un libro era “roba da ricchi”, da impresa o da gruppo militante, ora esprimere sul web la propria opinione e condividerla con il pubblico è possibile pressoché a tutti, singolarmente e indipendentemente dal reddito. Comunicare la propria idea su Internet, in estrema sintesi, è “facile”, non richiede alcun impegno di ordine economico, né è necessaria, grazie alla semplificazione delle interfacce e ad un’alfabetizzazione informatica crescente, una particolare competenza tecnica. Eliminati attriti di ordine materiale, la decisione di pubblicare o meno qualcosa dipende spesso dal profilo psicologico del soggetto e dalla sua consapevolezza etica.

Passiamo ad un esempio pratico. Nel momento in cui un soggetto deve decidere se pubblicare o meno un pensiero, si porrà il quesito se esso sia degno di essere reso noto, ovvero se si tratti di un pensiero originale, interessante, non banale. Colui che per indole o formazione ha un controllo su di sé tenderà a filtrare le informazioni in uscita; chi invece non ha controllo o per vanità non ritiene sia il momento di applicare un freno, tenderà ad essere estremamente indulgente con il proprio pensiero.

Questa prima riflessione, dunque, individua alcune qualità di Internet.In sintesi, l’economicità del mezzo fa sì che il suo uso sia maggiormente esteso e più frequente tra chi attribuisce al proprio pensiero i caratteri di utilità, bellezza ed urgenza. Detto altrimenti, il tipo umano vanitoso e/o forte di una spiccata autostima trova in Internet – e soprattutto nella declinazione partecipativa del 2.0 – il luogo ideale in cui esprimere il proprio ego.

I toni accesi che animano i commenti ad un articolo online o a un qualsiasi post su Facebook sono batteri sotto il vetrino del biologo: l’arroganza, il livore, la partigianeria guerrafondaia esprimono una sicurezza che ha bandito già da tempo qualsiasi atteggiamento dubitativo. A dispetto apparente dell’ideologia democratica. Sottolineamo l’apparenza di tale atteggiamento, poiché non va ignorato l’altro carattere fondamentale di Internet (né bisogna dimenticare che l’interventismo dilettantesco fa parte, come spiegato dal prof. Segatori, dell’“antropologia democratica”): la virtualità.

Virtualità

In fin dei conti su Internet manca la materia o, in ogni caso, è ridotta all’osso. C’è il medium, l’elettricità e gli attori della comunicazione, ma nessuno ha esperienza diretta dell’altro. Internet è una realtà virtuale, il che – si badi – non vuol dire negarne appunto lo status di “realtà”; una realtà costantemente mediata in cui la fiducia (o l’assenza di avvedutezza) gioca un ruolo determinante.

Si tratta di una mediazione assegnata all’avatar (la nostra migliore foto), al nickname (il nome più “figo”), all’emoticon (uno “smile” che smussi i toni), ma anche della mediazione di un sito o di un video che ci assicurano che quanto detto è vero, laddove il propagandato annullamento delle distanze si rivela una semplice illusione di ubiquità.

Che il medium sia mediazione non è certo una novità, ma la particolarità di Internet è sia nella dimensione del fenomeno che nella sua organizzazione. L’internauta non è mai soltanto uno spettatore, ma partecipa attivamente al meccanismo dell’informazione commentando e “postando” video, articoli, tweet etc. Il che – e siamo alla peculiarità dell’organizzazione – è realizzabile sempre, perché, nonostante le ultime strette normative (su cui magari varrà la pena tornare in futuro), nella Rete non esiste una censura né un controllo nemmeno lontanamente paragonabili a quelli imposti agli altri media.

Del resto, se le redazioni dei giornali online applicano un filtro alle notizie secondo regole “simili” a quelle del giornalismo classico, va detto anche che la platea dei webzine più o meno blasonati non è la sola a cui un soggetto fornitore di notizie può fare affidamento. Ognuno può costruirsi il proprio pubblico secondo logiche di marketing, più che di “journalism”.

La virtualità della Rete è dunque mediazione totale e scambio dei ruoli permanente, il che comporta due conseguenze.

a) Bassa autorevolezza
Non stupisce che l’assenza di autorevolezza sia una delle poche pecche riconosciute universalmente al mondo della Rete. Data la sua bassa credibilità, difficilmente Internet può svolgere una funzione di rottura nella coscienza dell’individuo. Scegliere un principio di vita, mettere in discussione una propria idea, decidersi per un’azione più o meno pericolosa sono scelte fondamentali per le quali richiediamo sempre che l’origine sia credibile.

Per una scelta sistemica sarà sufficiente la televisione; per una scelta rivoluzionaria sarà sempre necessario un maestro o un evento di rottura. Insomma, la realtà “reale”: in tal senso la Rete non aggiunge e non toglie nulla, anche se – quale enorme archivio di dati – il Web si qualifica a ragione quale luogo in cui poter consolidare (e confermare) le proprie idee.

b) Deresponsabilizzazione
Di fatto la Rete crea una realtà parallela nella quale è più facile intervenire, giacché l’espressione virtuale del proprio pensiero non può che creare conseguenze solo virtuali. La deresponsabilizzazione è dunque uno degli aspetti più attraenti della Rete, poiché – vissuta in maniera inconsapevole – invita di fatto a spostare parte della vita reale sul Web, riproducendo tuttavia le espressioni, le convenzioni e le aspirazioni dell’esistenza in “carne ed ossa”. Insomma, senza necessariamente scatenare una patologia da alienazione, la Rete ha in sé l’illusione della realtà, poiché ne riproduce gli stessi linguaggi, ma alterando le identità.

Come anticipato, quella sin qui descritta non è l’essenza del Web, quanto un resoconto rapido di alcune sue orme, nel tracciare le quali intervengono altri fattori di carattere più o meno transitorio. E’ opportuno dunque scindere i fenomeni e capire quali sono i caratteri permanenti della Rete (o quelli che si palesano in questa epoca).

Conclusioni

Per quanto sin qui scritto, Internet svela la tentazione umana di semplificare il mondo e di poter intervenire in esso ponendosi in una posizione di riparo. Detto altrimenti, la Rete disvela semplificazione, interventismo e desiderio di alterità presenti nell’animo umano.

Semplificare le complessità – non sintetizzarle – rientra nelle prerogative di chi rivendica una posizione di potere (semplicizzare per capire i fenomeni e gestirli) maggiore a quelle che sono le proprie capacità, raramente messe in discussione in virtù di un ego pieno di sé. Il tipo umano che più facilmente pontifica è colui che non ha dubbi poiché non se li pone (chi non dubita per una rara chiarezza di spirito, del resto, non perde la propria vita a dare dell’asino agli asini).

Semplificante è anche il rapporto con l’informazione della Rete. L’affidare a sconosciuti il racconto di eventi accaduti altrove vuol dire perdere tutto, compresa l’esperienza del neonato che allontana e avvicina alla bocca il proprio dito per verificarne la distanza. Quella dell’ubiquità è una suggestione che accumuna diversi media, forse tutti. Ma nel caso di Internet il legame emotivo tra chi carica un video su Youtube e chi lo osserva è maggiore rispetto a quello che si stabilisce col cameraman del TG della sera. Io che guardo, tu che carichi, siamo fratelli, connazionali mediocri in questo mondo singolarmente sciovinista. Chi oggi canta le virtù di Internet solo perché cura un blog, e ne è dunque cittadino-utente, non è molto diverso da chi affermi la superiorità del proprio paese solo perché vi è nato.

L’interventismo di Internet è una delle qualità che maggiormente esalta i suoi fedeli cittadini. Va detto che l’aspirazione ad incidere sulla realtà delle cose, comprese quelle apperentemente prerogativa di élite discutibili, è a tutti gli effetti un proposito augurabile, a patto di non perdere mai il contatto con se stessi ed i propri limiti.

L’interventismo della Rete ce la raccontano la particolare idea di socialità che alimenta e l’animosità dei suoi ambienti, sempre intenti a scrivere e beccarsi, a giurare e frignare, ad amarsi e, soprattutto, ad odiarsi. Dopotutto in Rete si cercano soprattutto nemici e sesso.

Vile è chi rifugge dalle proprie responsabilità celandosi non appena possibile dietro un nickname o, semplicemente, nel tasto “off”. In fondo la Rete induce ad essere ciò che vorremmo essere, dal momento che la verifica della nostra identità è possibile solo nel mondo reale.

Ovviamente l’essenza della Rete non è il destino di chi la abita. E’ possibile che sue forze vengano arginate da alcuni tipi umani capaci di chiudere le porte alle sue tentazioni, ma che hanno deciso di adoperare tale mezzo per lavoro, diporto o con lo stesso spirito con cui il guerriero indossa il coltello, pur preferendo la spada. Non si sa mai: potrebbe servire.

[Foto di Jake Metcalf]

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