La teoria del gender conquista New York. Né maschi né femmine… X
New York, si sa, è il centro del mondo occidentale, quello libero. Di un mondo, cioè, che ha come mito fondativo lo sviluppo ed il progresso, in tutti i campi dello scibile umano. Ed il progresso segna un importante punto a proprio favore proprio nella città della Grande mela, ove finalmente i genitori non saranno costretti ad indicare il sesso dei propri neonati ma, se vorranno, potranno identificarli con una X. Né maschi né femmine. Piuttosto, un pareggio.
Tutto questo grazie ad un disegno di legge, approvato nei giorni scorsi dal consiglio comunale newyorkese, che segna, come hanno dichiarato i promotori della misura, “una giornata storica per New York, sempre più campione mondiale sul fronte dell‘inclusività e dell’uguaglianza“. Ineccepibile.
La X potranno usarla i genitori per i propri neonati, come detto, sui certificati di nascita. Cosi decideranno i piccoli, ormai divenuti adulti, se propendere per uno dei due poli, maschile o femminile. Ma anche gli adulti, non soddisfatti degli attributi biologici in dote per nascita, potranno decidere di neutralizzarne la portata, correggendo il proprio documento e indicando, nello spazio dove viene richiesto il genere, una X. Tutto ciò per evitare, di fatto, discriminazioni sul fronte sessuale e per ribadire, ancora una volta, che quella sessuale è una scelta individuale, di libertà, che non ha a che fare con l’aspetto biologico innato di ognuno di noi.
“A noi ci hanno insegnato tutto gli americani” diceva Gaber. Per cui va da sé che gli europei si adegueranno. Del resto, vanno in questo senso tutta una serie di misure già presenti nelle legislazioni nazionali di molti paesi del Vecchio Continente. Perfino in Italia, come sappiamo per recenti polemiche, sui moduli per la carta di identità elettronica non viene indicato il riferimento al padre e alla madre, ma a genitore 1 e 2. Nelle scuole si fanno largo le nuove teorie educative mutuate dagli “studi di genere” americani, la cd. teoria del gender, figlia dell’evoluzione del femminismo più radicale. Vi sono progetti nel nostro paese finanziati da enti pubblici in cui i piccoli vengono educati ad un gioco non caratterizzato in senso maschile e femminile, ove i bimbi si scambiano i vestiti (i maschietti si vestono da femminucce e viceversa) ed usano un linguaggio neutro. E sono scuole materne.
A noi ci hanno insegnato tutto gli americani, ribadiva Gaber in un famoso monologo. La cultura, però, non li ha mai intaccati, continuava. Forse sbagliava? Gli americani, proprio loro, oggi fanno cultura e la esportano, come una merce. Il maschile e il femminile, dicono, sono una costruzione culturale. Non esiste una innata e naturale identità maschile o femminile. Esiste l’essere umano che non eredita differenze, né nasce diverso da un altro essere umano. Le differenze, comprese quelle sessuali, sono un fatto sociale, imposto, storicamente costruito.
Ma si può uscire, dicono studiosi e psicologi, da qualsiasi determinismo, perfino quello sessuale. Anzi, si deve. Gli europei, che di fondo hanno scoperto l’America, si adeguano. Fior di psicologi e terapeuti si scagliano contro pubblicità sessiste e contro ogni espressione di identificazione precostituita dell’individuo. Se si cerca online, si possono leggere articoli, come quello sul magazine femminile di Repubblica, che ribadiscono che “forse per qualcuno è deludente prenderne atto, ma le differenze tra maschietti e femminucce sono solo un mito. La scienza ci dice che i due sessi sono fondamentalmente simili in termini di personalità, capacità cognitive, comunicazione verbale e non verbale, aggressività, capacità di leadership, autostima e ragionamento morale”. La scienza ce lo dice. Nel caso di specie uno studio pubblicato dall’Università del Winsconsin.
Quindi bisogna adeguarsi. Di fronte a questa scienza, che ci permette uno sviluppo sempre più orientato alla qualità della vita, che ci garantisce una libertà sempre maggiore ed una eguaglianza sempre più effettiva, l’uomo europeo si deve inchinare. Sì, d’accordo. Se poi vai a scavare scopri che poi la volgarmente detta “teoria del gender” non ha proprio tutti questi fondamenti scientifici, anzi. Vi sono studi di segno opposto che ne dimostrano l’inconsistenza dei fondamenti e l’assurdità degli esiti. Che spiegano che non è possibile sostenere che il sesso biologico non abbia rapporti con l’identità sessuale e con la personalità. Che ricordano l’ovvio, ovvero che non si sceglie il proprio sesso e che di sessi, fondamentalmente, ce ne sono solo due. Da cui scaturisce, tra l’altro, la vita. Ma bisognerebbe studiare. Entrare in una sorta di dialettica tra scienziati. Roba da specialisti. Anche se è ovvio. L’ovvio va adesso difeso scientificamente. Perché l’ovvio non conviene più.
Sì d’accordo. Noi europei dovremmo sapere che quella tra il maschile e il femminile non può mai essere una differenza casuale, né neutralizzabile. Che ha una valenza simbolica ed una portata concreta che contribuisce, ad esempio nell’ambito familiare, ad uno sviluppo sano del bambino e della sua identità. Lo sappiamo da sempre, senza dover studiare. E sappiamo anche che in tutte le culture, in ogni parte del mondo, il riconoscimento (magari in maniera diversificata) di ruoli maschili e femminili e la loro differenziazione è un dato di fatto. Ce lo dice il buon senso, l’osservazione senza pregiudizi, insomma. Ce lo dice la vita reale di tutti i giorni. Lo sappiamo, e ci sono pure libri che ce lo spiegano. Ma la scienza, la loro scienza, dice altro. E la loro scienza conviene.
Ed anche il punto, probabilmente è un altro. L’ideologia gender non è nient’altro che l’esito, probabilmente anche coerente, di una Società, come quella occidentale, che ha deciso di recidere qualunque legame con il passato, presentato come oscurantista e buio, e che immagina l’uomo come un individuo indifferenziato e fondamentalmente autoreferenziale. Portatore di diritti, con ben pochi doveri verso la società (non più comunità) se non quello di comprare, consumare e pagare le tasse. Che ragiona in termini di merci e che finisce per mercificare se stesso. Ad esempio, non si comprende perché, se si può scegliere il proprio sesso, non si possa scegliere, se permesso dalla scienza, il sesso del proprio figlio magari concepito in provetta. Il suo quoziente intellettivo. Il colore degli occhi. Non si comprende dove sia il limite, perché non vi è limite. Lo dice la scienza. Ed è il pensiero che soggiace alla Tecnica. Tutto quello che può essere fatto va fatto.
Noi europei sembriamo impotenti di fronte agli esiti di questo “mito scientista”, che non riusciamo nemmeno a prefigurare in quanto nel frattempo sono già compiuti. Noi che siamo eredi di un pensiero che andava in direzione nettamente contraria a quello attuale, basato sulla “metafisica dell’illimitato”. Ovvero un non pensiero, una caduta verso l’imponderabile. Cui si giunge superando tutte le differenze e le distinzioni nel cui ambito l’uomo concepiva – e dava ordine – alla propria esistenza. Quella sessuale – e di ruolo – era solo l’ultima da scardinare, in questa guerra scatenata contro l’identità. Non si appartiene a nulla: né ad un territorio, né ad una cultura, né ad una tradizione, né ad una patria. Non si è identificati da nulla, nemmeno dal proprio sesso. Che questo prefiguri l’individuo perfetto della moderna società del consumo, non è un dubbio che ci debba sfiorare. Nietzsche parlava dell’ultimo uomo. Ortega y Gasset dell’uomo massa. Qui siamo al compimento: l’uomo come perfetto consumatore che si relaziona solo alle merci. Né maschio, né femmina. Un pareggio, noioso e triste, senza occasioni, per 0-0.