Ciò che appare è ciò che conta
Nell’era dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario. Così Orwell, scrittore di indubbia fama, sicuramente meritata. Che forse impallidirebbe oggi ad assistere al grado di perfezione cui è arrivato l’inebetimento generale. Qui in Italia ne sappiamo qualcosa. Stiamo assistendo alla mossa di tal Renzi, prossimo presidente del Consiglio, che defenestra tal Letta, illustre nipote, e prende in mano le redini del paese. Chiaro, prima si deve confrontare con: Berlusconi e i berlusconiani, con Alfano e i centrodestristi, con i fratelli italiani, i civici, i sinistrorsi, con i suoi compagni di partito democratici ma anche con i webgrillini e i padani, veri oppositori allo status quo. Tutti a discutere di questo confronto: sui giornali, in tivù, su internet, perfino per radio. Ce la farà? Si, ce la farà. E poi cosa farà? Le riforme, ma sempre se gliele fanno fare. Perché lo ha fatto? Su questo le opinioni sono discordanti, ed è proprio tale interrogativo che sembra solleticare la curiosità italiota, quella su cui si riversa l’informazione corretta, che si appassiona a quello che appare un rilancio decisivo ad una partita di poker. Sullo sfondo di questo scenario c’è il grande vecchio, che rimane sul colle e che secondo alcuni tira le fila. Di cosa? Dei burattini, si intende. Bisognerebbe scomodare i filosofi per capire se il burattinaio può essere anche burattino e se vi è un burattinaio ultimo, che conduce lo spettacolo tutto.
Lasciando ai filosofi il loro noioso lavoro (per noi altri, si intende), qualche domanda una persona normale se la può pur fare. Il prossimo presidente del Consiglio sembra voglia governare almeno fino al 2019. Il che significherebbe, udite udite, che nel nostro bel paese non vi saranno elezioni politiche univoche per oltre 10 anni, essendo le ultime conclusesi con un reale vincitore tenutesi nel 2008 col trionfo di Silvio. Che oggi è pure pregiudicato. Quelle dell’anno scorso, che hanno portato alla parentesi del governo Letta, non le contiamo, non essendosi la sovranità popolare espressasi con chiarezza ma avendo partorito, grazie all’arte del compromesso italica, un governicchio pseudo politico che è rimasto nel solco di quello tecnico che lo aveva preceduto. E la democrazia? E l’italicum? E il popolo sovrano? Possibile che in tempi di crisi – la crisi peggiore che attraversa il nostro paese perlomeno dal dopoguerra – possiamo fare a meno delle elezioni per così tanto tempo? Sembra proprio che si possa concepire un’idea del genere senza incorrere nella reprimenda dell’informazione corretta. E questo proprio perché c’è la crisi e di tempo da perdere – dopo aver perso tutto – proprio non ce n’è. In effetti chi se ne frega. Abbiamo bisogno di stabilità. Le elezioni vanno bene in tempi di pseudo normalità, a pancia piena. Possiamo per qualche anno fare a meno di questa celebrazione, cui del resto chi scrive non ha mai creduto e men che meno partecipato. Si può tranquillamente tralasciare persino il lato simbolico del momento elettorale: il popolo chiamato alle urne, la sovranità che si esprime con il voto, il parlamento eletto, il governo frutto della volontà del popolo. E’ innegabile, il lato simbolico c’è ed è fondamentale, e tutti i sistemi, anche il peggiore e ingiusto – e quello democratico post prima repubblica lo è senz’altro rispetto a tutti quelli che lo hanno preceduto – ne hanno bisogno. Ma adesso se ne può fare a meno, la situazione è grave e pretende le riforme. E’ il trionfo ultimo della democrazia formale, la quale riesce a legittimarsi anche senza il voto, anche senza la forma. Qualcuno, il solito idiota, dirà che questa non è democrazia. Signori, questa non lo è mai stata, non nel senso greco del termine. Ma questo è un altro discorso.
Piuttosto, ritorniamo alla questione della verità, roba appunto da rivoluzionari, che da qualche parte pure albergherà. Consigliamo a tal proposito la lettura di un gustoso articolo cha abbiamo scovato ieri su dagospia, dall’incipit esoterico, “quel che appare e non conta”, eppure non di un testo di Battiato si tratta ma di quello che anche un bambino di tre anni capirebbe, se vivesse in un mondo normale e che l’Autore, Francesco Bonazzi, spiega a noi tutti rincoglioniti. Lo si trova qui: e ne consigliamo vivamente la lettura, fosse solo per la straordinaria e felice rappresentazione letterale del comandamento che secondo l’autore aleggerà sull’operato dell’ormai ex sindaco di Firenze, il lapidario “Non avrà altra legge che il codice IBAN”, con malcelato riferimento agli interessi dei banchieri e di Bankitalia, legge che opererà sul suo governo come su quelli che lo hanno preceduto, come è oramai evidente perlomeno da quando l’Europa ci ha dettato l’agenda, le riforme, la vita, perché si sa, la legge è uguale per tutti.
Lo stesso giorno, ieri domenica 16 febbraio, chi ha avuto la fortuna di leggere il Sole 24 ore vi ha trovato un bel pezzo di Strobe Talbott su Jean Monnet, per molti l’ideologo dell’Europa unita, così come la conosciamo oggi, cioè l’Unione Europea. Chi è interessato può leggerlo qui. La lettura va fatta subito dopo quella dell’articolo del buon Bonazzi, e non per operare un blasfemo (per D’Agostino) paragone tra il Sole e Dagospia, ma giusto per capire ciò che non appare e conta, ovvero le linee guida di un pensiero misconosciuto (se non agli specialisti) fondato sull’eliminazione delle sovranità nazionali in nome degli interessi economici, ovvero del libero commercio e della allegra finanza. Le declinazioni concrete di questo pensiero, che propugnava in definitiva la creazione di un’Europa a conduzione franco-tedesca, nel nostro belpaese sono sotto gli occhi di tutti, tranne che dei nostri politici e dell’informazione corretta, che sembrano bearsi del fatto che siamo una colonia e che tale dobbiamo rimanere. Per cui ben venga Renzi quale nuovo presidente del consiglio, il tavolo da poker, il rilancio e la battaglia per le riforme. Ben vengano i programmi di approfondimento, dove illustri politologi ed editorialisti ci spiegano cosa sta succedendo in Italia. Ricordandosi però, che sempre di beghe da cortile trattasi. E che sul burattinaio non è questione che non esiste, ma è questione che non appare. Il che, per molti, è la stessa cosa.