Basta teatrini: La Campania merita una svolta
Tra i ricordi lasciati ai posteri dai tempi emergenziali nella fu Campania Felix, ci saranno certamente i video di De Luca che minaccia i suoi governati, trattati alla stregua di gregge più che di sudditi. Si tratta di performance pure simpatiche, che facilmente strappano il sorriso a chi vi assiste. Che sorrida un lombardo o un calabrese ci sta, che a farlo siano pure i destinatari degli improperi coloriti dello sceriffo salernitano fa un po’ riflettere e un po’ vergognare chi ama questa terra e la vive ogni giorno. Che poi addirittura lo si indichi come il migliore dei governatori possibili perché ha salvato le sue pecore dal Coronavirus, ci porta dal comico al surreale. Qui si entra in un ambito artistico che ci impone di fermarci: non ce ne voglia la massa, abbiamo bisogno di rivolgerci agli uomini.
E uomini risponderebbero che il nostro governatore andrebbe giudicato non per gli spettacolini che piacciono alla Campbell o per i 1000 euro distribuiti sotto elezioni. Ma per come ha governato. Solo sulla sanità, ad esempio, e sui tagli che hanno interessato la Campania sotto la sua gestione, ci sarebbe molto da dire. Così come sugli strali del salernitano ai tempi del Covid, che sarebbero stati ben accolti se indirizzati al governo e alle sciocchezze romane che ci siamo sentiti raccontare, piuttosto che – come del resto la lezione romana ha imposto – sui cittadini che hanno subito una doppia emergenza: quella sanitaria e quella della incapacità della classe politica di prendersi le proprie responsabiità, presenti e future. E che adesso si immolano rispetto alla terza, la più devastante di tutte: quella economica. Soli come al solito. Sul punto De Luca ha ritenuto che a Napoli le pizze non si potessero consegnare, mentre nella infetta Lombardia si poteva. Aggiungendo miseria a miseria, soprattutto umana. Oltre che giuridica, con un uso disinvolto delle ordinanze da far rabbrividire uno studente di giurisprudenza. Ma viviamo nell’Italia dei Dpcm, cosa altro ci si poteva aspettare.
Insomma, sappiamo che De Luca è destinato a stravincere. Per questo non capiamo perché si affanni a voler anticipare la data delle elezioni per raccogliere il voto delle sue pecorelle. Del resto, piace anche a destra. Sia per una connaturale simpatia rispetto al piglio autoritario, che tradisce però lo spirito dei tempi, scambiando la caricatura con l’originale e tralasciando la differenza, cosa normale in tempi che non riconoscono la qualità. Sia perché, in fin dei conti, la destra politica e qualche volta sovranista non sa proprio chi mettere contro il Governatore. La Lega sul territorio ha lavorato poco e male, Fratelli d’Italia rimane silente rispetto a una Regione ritenuta già persa, Forza Italia pensa a Caldoro, ma la Carfagna non è d’accordo. In ogni caso, sarebbe sconfitta totale. Hanno proposto pure un magistrato, famoso per aver militato a sinistra e per aver condotto un processo mediatico contro Casa Pound per banda armata e associazione sovversiva, conclusosi poi come doveva. Qualcuno gli avrà detto che dopo un po’ una barzelletta comincia a stancare e non si può tirare troppo la corda. Va bene perdere, ma almeno mantenendo una parvenza – solo parvenza – di decoro.
Sembra insomma che la Campania sia condannata e che questi tempi emergenziali abbiano insegnato davvero poco ai nostri protagonisti della politica. Che seguono schemi visti e rivisti e muovono sempre le stesse pedine, magari sperando che il gioco sia sempre lo stesso. Del resto, va detto, non è che i campani sembrino meritare di più, visto il consenso di cui gode il governatore uscente. È pur vero che sono stati abituati da troppo tempo ormai al teatrino. E nel teatrino, De Luca non ha rivali.
Ci vorrebbe coraggio, da parte di una destra capace di riconoscere se stessa, per mostrare che c’è altro, che si è altro. Puntando su qualcuno che possa immaginare un progetto e difendere un territorio. Oggi abbiamo letto, su testate come Barbadillo e Il Sovranista, che qualcuno ha avuto il coraggio di fare il nome di Alessandro Sansoni, il direttore di Cultura e Identità, napoletano doc. Signori non scherziamo. Di fronte ai nomi che sono circolati sinora, il nome di Sansoni sembra appartenere a un altro mondo. Quello del pensiero e del lavoro sul territorio, della formazione e della azione culturale. La cultura, quella vera. Impensabile senza un riferimento identitario. Quello dei grandi progetti istituzionali, come quello della Macroregione, su cui si voterà a breve un referendum, a cui Sansoni ha lavorato tantissimo. E che potrebbe essere un’occasione per la Campania e tutto il sud.
Insomma il piglio c’è, ma non siamo nati ieri. Sappiamo che ci vorrebbe troppo coraggio per appoggiare quel tipo di candidatura da parte degli apparati di partito, che dimostrerebbero di aver capito che ci troviamo di fronte a tempi di svolta. Siamo abbastanza sicuri che il centro destra non possegga quel coraggio. Servirebbe, per ritrovare linfa anche in Campania, ricordare quello che la destra sembra aver dimenticato, pur potendo rivendicarne il motto: che la cultura che non diventa azione è vuoto intellettualismo. Così come l’azione, senza un progetto, è destinata al fallimento. Quantomeno in politica.