Lo Stato può revocare la concessione ad Autostrade. Altrimenti non sarebbe uno Stato.
Diciamolo subito: L’inizio della procedura di revoca da parte dello Stato della concessione alla Società del gruppo Benetton della gestione del tratto di autostrada di sua competenza, a seguito dei tristi fatti di Genova, è un atto legittimo. E’ un atto legittimo in quanto atto politico. Da più parti non si è persa l’occasione per criticare il governo sul punto, definendo quanto meno avventato anche solo parlare di revoca, prima di conoscere cosa è successo “tecnicamente” a Genova e perché il ponte è crollato. Soprattutto perché, si dice, lo Stato italiano è vincolato dalla convenzione firmata e non può, di suo arbitrio, revocarla senza prima appurare le responsabilità di Autrostrade per l’Italia in ciò che è successo. Sarebbero messi in pericolo, così, l’intero comparto dei contratti pubblici e in definitiva, apoditticamente, addirittura i principi dello stato di diritto. Non solo. Il rischio per lo Stato di rimetterci soldi sarebbe altissimo.
La convenzione prevede salatissime penali in caso di recesso unilaterale prima della scadenza naturale e l’Italia dovrebbe poi farsene carico, in una situazione dei conti pubblici già difficile. Ancora, si è sottolineata l’imperizia dei governanti, che hanno di fatto posto sul banco degli imputati una società quotata in borsa, con evidenti ripercussioni sull’andamento del titolo nei mercati azionari. La stessa concessionaria si richiama ai principi di diritto non riconoscendo alcuna responsabilità su quanto è accaduto, prima che questo venga appurato dai tecnici. Abbiamo visto l’allora Ministro dei trasporti Di Pietro sventolare in tv il testo della concessione (di cui, però, una parte appare inspiegabilmente secretata) spiegando che questo governo dovrebbe “studiare” le norme prima di lanciarsi in proclami non attuabili. Si è paventato, addirittura, l’intervento della Corte dei Conti per danno all’erario, se poi la revoca si rivelasse, all’esito di un accertamento (sempre tecnico), ingiustificata. Dall’estero non si sono fatte attendere voci che hanno messo in guardia l’Italia: se revocate la concessione, non investiremo più da voi. Insomma, bisognerebbe attendere la decisione dei magistrati. Che avverrà, se tutto va bene, tra almeno tre, quattro anni. Nel frattempo, la concessione non si tocca.
Non entreremo nella questione giuridica, anche se riteniamo davvero improbabile che non venga accertata una responsabilità del concessionario – magari una responsabilità, nella migliore delle ipotesi per quest’ultimo, concorrente – rispetto a quello che è successo. E se ciò avvenisse, chiunque può sfogliare un manuale di diritto per comprendere che, anche sotto il profilo giuridico, la revoca sarebbe legittima e il concessionario dovrebbe provvedere, in ogni caso, al risarcimento del danno.
A meno che, nella concessione firmata, non vi siano delle esenzioni di responsabilità tali, a favore di Autostrade per l’Italia, da lasciare indenne quest’ultima dal risarcimento dei danni anche in caso di responsabilità acclarata e da prevedere, anche in quest’ultimo caso, l’irrevocabilità della concessione. Abbiamo sentito sventolare anche questo pericolo, in questi giorni di terrorismo giuridico-psicologico scatenato a favore del gruppo Benetton. Ma se così fosse, qualcuno dovrebbe spiegarci perché è stata firmata una concessione così sbilanciata a favore del concessionario, che non solo risulta essere una gallina dalle uova d’oro (si vedano i bilanci della società e gli utili portati a casa in questi ultimi anni) ma che addirittura è talmente blindata da non essere revocabile – se non con grave danno per le casse dello Stato – anche in circostanze come quelle avveratesi.
Dove un ponte, la cui stabilità e agibilità andava controllata dalla concessionaria, è crollato e delle persone sono morte. Qualcuno dovrebbe spiegare come è stato possibile che uno Stato si arrivi ad impegnare contro se stesso in maniera così spudorata. Magari si arriverà a discutere pubblicamente cosa sono state le privatizzazioni in Italia. Il re si denuderebbe ancora di più. Potrebbe emergere che questo Stato ha agito contro se stesso in molte occasioni. Altro che intervento della Corte dei Conti per danno all’erario…
Di fronte a tutto questo, ribadiamo, la revoca appare a tutti gli effetti legittima. E non ci vuole un tecnico del diritto per comprendere questa affermazione. Infatti, è impensabile che la revoca possa essere semplicemente frutto di una decisione giuridica, ovvero della sentenza di un Magistrato che fra anni deciderà di chi sono le responsabilità. Magari questa volta la Magistratura farà giustizia. La speranza, si sa, è l’ultima a morire, anche se, in ogni caso, le pene per i responsabili di un evento del genere, in rapporto all’enormità dell’accaduto, sarebbero in ogni caso risibili (si veda l’intervista al procuratore di Genova pubblicata oggi dal “Fatto Quotidiano”).
Ma lo Stato, ha ragione il Ministro dell’Interno, non può aspettare i tempi della giustizia. La decisione politica deve essere immediata e puntuale. Perché è diversa da quella giuridica. La seconda accerta responsabilità e inadempimenti, la prima, quella politica, deve perseguire il bene della comunità. La decisione giuridica compone i conflitti e le liti, in alcuni casi distribuisce pene. Quella politica deve, nel caso di specie, prevenire ulteriori conflitti e deve fare in modo, se possibile, che ciò che è accaduto non accada ancora.
Il politico appare quando la norma non regola più il caso concreto. E gli eventi di Genova estromettono la norma giuridica dal novero delle soluzioni, in quanto l’urgenza degli eventi non può aspettare i tempi della applicazione della norma astratta al caso concreto. Le polemiche sulla revoca appaiono, sotto questo profilo, ancora una volta il tentativo di neutralizzare la possibilità per uno stato di esercitare la decisione, ovvero di essere qualcosa di più di un ente che amministra ciò che è “regolato”, ovvero – in definitiva – deciso da altri.
Questo Stato, pertanto, ha tutto il diritto di decidere sovranamente e legittimamente, ovvero politicamente, di revocare la concessione al Gruppo Benetton, in quanto del tutto legittimamente questo Stato può prendere atto che è venuto a mancare uno dei presupposti fondamentali della relazione in essere con quel gruppo, ovvero la fiducia. La fiducia in chi avrebbe dovuto occuparsi della manutenzione di quel tratto autostradale non vi è più. Il diritto potrà decidere, tra anni, se questa mancanza di fiducia, attuale, abbia una sua giustificazione. La politica non può attendere oltre. Perché se lo Stato avesse ragione starebbe perseguendo soltanto il meglio per la propria comunità, ovvero ciò che la politica è chiamata a fare. Vocazione che appare dimenticata dai più.
Se avesse torto, cosa che appare come detto assai improbabile, lo Stato ne pagherà le conseguenze giuridiche ed economiche. Con quali soldi, si dirà? Questa è un’altra storia. Uno Stato sovrano, per prendere le decisioni migliori per la comunità che nello stesso si riconosce, deve essere sovrano in tutto. La sovranità non è esercitabile a sprazzi. Non può dipendere dai vincoli di Bruxelles. Dal pareggio di bilancio. Da una moneta comprata al mercato. Altrimenti è vuota retorica. Tutto vero. Il re è sempre più nudo.